Night Fever, il design prestato alla disco
NIGHT FEVER
Dagli anni ’60 in poi le disco e i nightclub leggendari sono stati più che semplici piste su cui fare 4 salti, ma epicentri creativi all’avanguardia, opera di architetti e designer visionari, calati nel mood.
Gente in grado di delineare in quel luogo e in quel momento gli scenari ideali per far emergere il lato dionisiaco della faccenda, inventando spazi di confine perfetti per mostre, sfilate, esibizioni, dj set. Insomma qualcosa che avesse a che fare contemporaneamente con la musica, il divertimento, la (sub)cultura (pop) e il design.
Aspetto poco conosciuto, il design applicato ai nightclub è ora al centro dell’esposizione Night Fever. Designing Club Culture 1960-Today, al Vitra Design Museum di Basilea fino al 9 settembre.

Installazione Night Fever. Designing Club Culture 1960-Today – Vitra Design Museum – ph. Mark Niedermann
I ’60 DELL’ELECTRIC CIRCUS E DEL RADICAL DESIGN
Organizzata da Konstantin Grcic, Night Fever è la prima mostra dedicata alla storia del design (e della cultura) da club, che ricostruisce attraverso foto, oggetti, filmati l’energia dei club storici, in cui architettura, arte, grafica, moda, performance e musica riuscivano a fondersi ai massimi livelli in una sorta di bolla spazio-temporale.
Il percorso cronologico parte dagli anni ’60 con l’Electric Circus (1967), emblema della subcultura newyorkese progettato da Charles Forberg e dallo studio Chermayeff & Geismar, e con alcuni club italiani, opera degli architetti del Radical design: lo Space Electronic di Firenze (1969) del Gruppo 9999, il Piper di Torino (1966) – di Ceretti-Derossi-Rosso – famoso per gli arredi modulari che cambiavano posizione e sembianze a seconda che si dovesse ballare, suonare, recitare o il Bamba Issa (1969) di Forte dei Marmi del Gruppo UFO.

Poster per The Electric Circus – New York – 1967 – design Chermayeff & Geismar – © Ivan Chermayeff e Tom Geismar

Serata allo Space Electronic – Firenze – 1971 – interior design Gruppo 9999 – ph. Carlo Caldini – © Gruppo 9999
I ’70, DALLO STUDIO 54 DI ANDY WARHOL AI NEW ROMANTIC DEL TABOO
I ’70 della discomusic sono gli anni dei dancefloor “infestati” di celebrità e stravaganti sconosciuti abbigliati con le creazioni di Halston e Stephen Burrows o con eccentrici look fai da te.
Capostipite del genere è ovviamente lo Studio 54 (1977), frequentato tra gli altri da Andy Warhol e concepito dall’architetto Scott Romley e dall’interior designer Ron Doud.
Ma contemporaneamente a New York c’erano anche il Mudd Club (1978) e l’Area (1978) – in cui vita notturna e arte diventavano tutt’uno e giovani pittori come Keith Haring e Jean-Michel Basquiat potevano farsi notare -, a Londra il Blitz e il Taboo erano i luoghi dei New Romantic e a Parigi iniziava a impazzare Les Bains Douches (1978) arredato da Philippe Starck.
HACIENDA, TRESOR, BERGHAIN E MINISTRY OF SOUND, DAGLI ’80 AL TERZO MILLENNIO
Con gli ’80 s’impongono i primi rave, la techno, l’house, l’acid e il tempio è il Fac 51 Haçienda (1982) di Manchester, ideato dall’architetto e designer Ben Kelly e cofinanziato dai New Order. Interessante anche la scena berlinese dei club nati in spazi urbani abbandonati dopo la caduta del Muro, come il Tresor (1991) o il Berghain (2004), ubicato in una vecchia centrale termoelettrica.
Si arriva fino ai giorni nostri e i progetti più significativi recano la firma di Studio OMA con Rem Koolhaas, vedi il nuovo concept per il Ministry of Sound di Londra, e quella dello studio Akoaki con la sua consolle da dj mobile Mothership.

Akoaki – Mobile Dj Booth – The Mothership – Detroit – 2014 – © Anya Sirota e Jean Louis Farges in collaborazione con Bryce Detroit
Arrivati alla fine, tra una foto, un arredo e un filmato, l’effetto nostalgia anche per cose mai vissute e la voglia di teletrasportarsi ai vari Palladium, Bains Douches o Studio 54 sono dietro l’angolo.
Per placare gli animi (o forse no) Grcic e il light designer Matthias Singer hanno pensato a un’ultima installazione effetto club. Il problema sarà gestire i flussi nell’ambiente disco. C’è gente che potrebbe anche non volerne uscire più.

Gianni Arnaudo – Aliko chair disegnata per il Flash Back – Borgo San Dalmazzo – 1972 – Gufram – © Andreas Sütterlin / Courtesy of Gianni Arnaudo

Palladium – New York – 1985 – architetto Arata Isozaki, murales Keith Haring – © Timothy Hursley, Garvey|Simon Gallery New York

Newcastle Stage all’Horst Arts & Music Festival – Belgio – 2017 – Architetti: Assemble – © Jeroen Verrecht

Ospiti che conversano su un sofà – Studio 54 – New York – 1979 – © Bill Bernstein, David Hill Gallery, London

Installazione della mostra Night Fever. Designing Club Culture 1960-Today – Vitra Design Museum – 2018 – ph. Mark Niedermann

Musa N. Nxumalo – Wake Up, Kick Ass and Repeat! – foto dalla serie 16 Shots – 2017 – © Musa N. Nxumalo / Courtesy of SMAC Gallery, Johannesburg

Walter Van Beirendonck – sfilata della collezione Wild & Lethal Trash (W.&.L.T.) per Mustang Jeans – FW 1995/96 – © Dan Lecca / Courtesy of Mustang Jeans

Roger Tallon – Swivel Chair Module 400 per il nightclub parigino mai realizzato Le Garage – Parigi – 1965 – © Vitra Design Museum, ph. Thomas Dix

Bill Bernstein – dance floor allo Xenon – New York – 1979 – © Bill Bernstein / David Hill Gallery, London
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