Le 8 collezioni top della Paris Fashion Week – SS 2016 – Parte 1
Alla fine la Paris Fashion Week fa sempre la differenza. Sfilate spettacolo, marketing ipertrofico, gruppi potentissimi, ma anche la più alta concentrazione di stile e creatività, di maison storiche e designer tra i migliori al mondo.
Un po’ di delusione in alcuni casi c’è stata. Ad esempio Dior, lineare, delicata, impreziosita da look molto belli ma meno sfolgorante del solito. Così così Louis Vuitton e Miu Miu – cool, con singoli look notevoli, accessori pazzeschi ma anche un senso di déja-vu – o Giambattista Valli, ingabbiato in una versione Sixties della donna fiore senza entusiasmi. Per quanto riguarda Saint Laurent, perfetto per giovani rockstar in rehab, c’è da intonare il de profundis.
Non sono mancate poi le polemiche. Vedi gli zaini umani di Rick Owens – oggetto di animati dibattiti tra sostenitori della performance artistica e detrattori pro trovata pubblicitaria -, la presunta ispirazione “umanitaria” della collezione africana di Valentino o l’aeroporto Chanel, visto (pretestuosamente, a dire il vero) da alcuni come uno schiaffo chic ai lavoratori in fase di licenziamento dell’Air France. Ma soprattutto c’è stata una tale quantità di sfilate di livello da rendere davvero ostica la scelta delle collezioni top, che infatti non sono riuscita a ridurre a 4 o 5. Dries Van Noten, Alexander McQueen, Valentino, Lanvin, Chanel, Sacai, Céline, Balenciaga e sono 8, con l’aggiunta in leggero subordine delle ottime Rochas e Stella McCartney. Ragion per cui i post sono due. Questo – va da sé – è il primo.
DRIES VAN NOTEN
La maestria di Dries Van Noten nel maneggiare mix di colori intensi e tessuti materici o impalpabili – come broccati, jacquard, satin, chiffon – prende stavolta una piega anni Quaranta, da diva hollywoodiana.
L’essenza dei capi è contemporanea ma le acconciature, gli occhiali a punta, i pantaloni ampi, le gonne longuette, le spalle pronunciate, i mega plateau, i ricami e le fantasie rétro a base di ali, fiori, piume e motivi balinesi delineano la versione Van Noten di Katharine Hepburn o Joan Crawford. Magari alle prese con qualche film nei Mari del Sud, viste le gonne con fiocchi sarong e il tocco di bizzarria dato da body e guanti tattoo con stampe esotiche.
Meravigliosi i vestiti con ruche, ramage e geometrie 3D di voile.
ALEXANDER MCQUEEN
Meno cupa, meno barocca, meno complessa del solito e tuttavia affascinante la p-e 2016 di Alexander McQueen by Sarah Burton. Certo bisogna dimenticare gli show e la poesia del tempo che fu ma appunto di altro ormai si tratta. Restano le costruzioni arzigogolate di alcuni miniabiti, resta il romanticismo malinconico, la teatralità di alcuni capi ispirati alle epoche passate ma tutto in una versione più semplice e soft.
Alla base una storia che a Lee McQueen sarebbe piaciuta, quella degli esuli Ugonotti accolti nel XVII secolo in Inghilterra e che da giardinieri divennero produttori di sete di lusso. Così fiori ricamati e stampati, trionfi di ruche, giacche e soprabiti di antica foggia militare, corsetti e balze tratteggiano una creatura delicata e misteriosa sospesa tra mondi passati e un mood contemporaneo e bizzarro.
VALENTINO
Suppongo che le intenzioni di Maria Grazia Chiuri e Pier Paolo Piccioli fossero buone. Un omaggio all’Africa – luogo di provenienza di molti migranti – e un messaggio di apertura verso il prossimo. Ma se è vero che l’ispirazione africana è frequente nella moda e ha illustri predecessori – vedi Yves Saint Laurent e la collezione Bambara -, le motivazioni “umanitarie” anche se genuine suonano sempre stonate quando si parla di abiti di lusso, come qualcosa di buonista e appiccicaticcio.
I capi però sono belli e i riferimenti eleganti: dagli animali della savana stampati su tessuti o incisi su pelle alle maschere tribali su borse, sandali e monili, dai piccoli ricami geometrici su voile che ricordano le scarificazioni al tie-dye, dalle frange ai particolari ripresi dai collari Masai. Tutto rimescolato con le ormai tipiche silhouette a metà tra antica Roma e neoclassicismo, in una sorta di materializzazione del concetto – questo sì sempre valido – di bello che nasce dall’intreccio di culture diverse.
In conclusione posso credere ai buoni proprositi dei designer, ma dubito che chi comprerà i loro prodotti penserà anche per un attimo ai migranti.
LANVIN
Come atti di una rappresentazione teatrale da Lanvin sono andati in scena almeno 4 o 5 blocchi di look nel solco della femminilità lussureggiante firmata Alber Elbaz. Su tutto un senso di non finito, con orli sfilacciati, imbastiture e telini nude a vista.
L’inizio in bianco e nero – con completi da giorno tra tweed, fiocchi e pelle – evolve nei classici abiti da sera pieni di aperture sexy che però lasciano intravedere una specie di struttura/biancheria color carne, per poi passare – sempre con sfilacciature e pezzi mancanti – ai vestiti ricoperti di paillette, a quelli di seta spessa con volant scultura, al pizzo, alle stampe Pop, con l’aggiunta di un pizzico di maculato e di scritte Faubourg Saint’Honoré, mitico indirizzo della maison.
Accessori al solito bellissimi, con menzione speciale per i fiocchi-coccarda, le borse (in particolare quelle a tracolla col logo disegnato da Paul Iribe) e gli stivaletti flosci.
Lascia un commento